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Il dibattito sulla presenza dei lavoratori stranieri in Italia tra opinione pubblica e dati ufficiali.
ROMA. Dopo i fatti di Parigi l’ondata di xenofobia che dilaga in Europa e in Italia ha subito sensibili inasprimenti. Sono sempre più frequenti illazioni e giudizi che identificano l’immigrato come un ladro di lavoro, come un parassita della società, come un peso per la collettività. Questo pensiero è continuamente sponsorizzato da gruppi politici che professano un nazionalismo senza memoria, scandito da slogan e messaggi che fanno molta presa tra le nuove generazioni. Per questo diventa importante capire l’impatto effettivo della forza lavoro straniera nell’economia nazionale.
L’EPISODIO. Fa riflettere quanto emerso al convegno su immigrazione e terrorismo “Io ho paura”, tenuto all’Università “Guglielmo Marconi” di Roma lo scorso 27 novembre, che ha visto tra i relatori Raffaele Cantone, Gianfranco Fini, Massimo D’Alema. Tra le domande e le proteste espresse dal pubblico composto da liceali, studenti universitari, lavoratori e precari, emerge l’inconfutabile certezza nell’individuare nell’immigrazione una delle cause principali di questa crisi occupazionale. Tra tutte le remore, viene palesata l’opinione − ormai consolidata − dei presunti privilegi attribuiti agli immigrati rispetto ai connazionali; a queste convinzioni i tre ospiti replicano con dati e leggi alla mano, confutando con fermezza le tesi che vedono gli italiani svantaggiati in termini di servizi e previdenza sociale, e che confondono le politiche sociali con l’azione del terzo settore. Da segnalare, in particolare, la posizione dell’ex Presidente della Camera che, in risposta ai fischi e alle illazioni degli studenti, e notevolmente infastidito, ha difeso con veemenza la posizione istituzionale tesa a tutelare i migranti, per la quale garantire diritti agli immigrati non significa negarli agli italiani.
I DATI. Dal recente “Rapporto sull’economia dell’immigrazione” realizzato dalla “Fondazione Leone Moressa”, si evince la particolare rilevanza economica che hanno assunto in questi anni i lavoratori di altre nazionalità. Nel contesto italiano, stando agli studi condotti, si può affermare che gli immigrati nel 2014 hanno prodotto un surplus netto per 3,9 miliardi di euro, risultato della differenza tra i 16,5 miliardi di benefici e i 12,6 miliardi di costi. Il loro lavoro rappresenta l’8,6 per cento della ricchezza italiana, ma soprattutto hanno versato quasi 7 miliardi di IRPEF e più di 10 miliardi di contributi. Sono quindi 620 mila gli italiani che beneficiano di una pensione pagata dagli stranieri, visto che il 98 per cento di questi ultimi, lavorando per circa 5-10 anni e poi spostandosi altrove, non matura i diritti per riscuotere un assegno pensionistico.
L’IMPATTO FISCALE. Su 5 milioni di residenti stranieri, sono 3,46 milioni i contribuenti stranieri. Nel 2014, inoltre hanno dichiarato redditi per 45,6 miliardi di euro e versato IRPEF netta per 6,8 miliardi di euro. Rimane netta, se pure in diminuzione, la forbice: il reddito dei nati all’estero risulta raggiungere i 13.180 euro, quello dei nati in Italia 20.710 euro, per un differenziale di 7.530 euro. Sono 524.674, le imprese condotte da stranieri nel 2014; queste producono il 6,5% dell’intero Valore Aggiunto, pari a 94,8 miliardi di euro. Sono 632.000, invece, gli imprenditori nati all’estero (8,3% del totale). Il trend che fa riferimento al periodo dal 2009 al 2014, secondo gli studi effettuati dalla Fondazione Moressa vede il reddito degli imprenditori italiani in negativo per il 6.9 % mentre per gli stranieri si registra un +21,3%.
L’INCLUSIONE. Le motivazioni che spingono le politiche nazionali e comunitarie a puntare sull’integrazione non hanno solamente una ragione etica. La disinformazione che caratterizza il mondo politico e sociale circa il tema dell’immigrazione ha generato non pochi luoghi comuni diffondendo sentimenti di paura e di diffidenza nell’opinione pubblica, giustificati e avvalorati dalle recenti vicende terroristiche che hanno interessato il continente europeo, impropriamente connesse alla permanenza degli immigrati.
IN PARLAMENTO. La discussione sul potenziale sviluppo sociale ed economico che ne potrà derivare è approdata alla Camera dei Deputati, dove è stato approvato il testo sullo ius soli temperato e sullo ius culturae rivolto agli stranieri di Stati non appartenenti all’Unione Europea. Secondo il ddl, infatti, potrà diventare cittadino italiano chi è nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno dei due sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; inoltre, per lo ius culturae, avrà la cittadinanza italiana il minore straniero, nato o entrato nel nostro paese prima di aver compiuto i dodici anni, che abbia frequentato in modo regolare per almeno cinque anni uno o più cicli di studio, o che abbia seguito percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali per ottenere una qualifica di tipo professionale. Per ora gli obiettivi sono quelli di garantire maggiori diritti, alla luce dei benefici forniti in termini di crescita al PIL nazionale, sia ai lavoratori extracomunitari che alle loro famiglie, consentendo loro una progressiva integrazione nel tessuto sociale italiano. Ma il disegno di legge attende la discussione in Senato.
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