L’anno scorso le Nazioni Unite hanno approvato i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che tutti conosciamo: una tappa a mio avviso importante ma che deve essere resa efficace. Gli Obiettivi sono 17, e prevedono 169 target – che sono tantissimi – e 241 indicator: abbiamo quindi davanti una massa di problematiche enormi legate insieme dal tema della sostenibilità, e a questo proposito vorrei, in questo mio intervento, sottolineare delle cose.
Anzitutto, le novità rispetto ai Millennium Development Goals. Le hanno già dette in molti, ma a mio parere sono almeno due le novità importanti. Andando oltre il discorso dell’enfasi sulla sostenibilità – che sappiamo essere stato il cuore di questi obiettivi fin dalla loro preparazione, dopo Rio de Janeiro 2012 − , il discorso centrale, che sta diventando sempre più importante, verte sulla questione dell’equità e delle disuguaglianze − una grossa carenza negli Obiettivi di Sviluppo del Millennio − , ed è legato al tema dell’occupazione, “occupabilità” se vogliamo dire, e del lavoro dignitoso, strumenti questi che sono ovviamente legati al tentativo di ridurre queste disuguaglianze.
Il discorso centrale verte sulla questione dell’equità e delle disuguaglianze ed è legato al tema dell’occupazione e del lavoro dignitoso, strumenti ovviamente legati al tentativo di ridurre queste disuguaglianze.
Altro elemento generale ma fondamentale che dobbiamo tenere in conto come innovazione – oltre alla sostenibilità e all’equità – riguarda l’obiettivo 16, che si pone il problema della pace, della giustizia e della good governance, ossia delle società inclusive. Questo aspetto era presente anche negli accompagnamenti dei MDGs, ma non era un goal esplicito: il fatto di avere, oggi, un goal esplicitamente dedicato a giustizia e pace significa che questo, per quanto difficile e complesso, è un tema che non è più possibile evitare.
Il fatto di avere, oggi, un goal esplicitamente dedicato a giustizia e pace significa che questo, per quanto difficile e complesso, è un tema che non è più possibile evitare.
L’ultimo punto che vorrei trattare riguarda l’ultimo degli Obiettivi, il 17, ossia la global partnership for sustainable development (partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile). Questo è anche, sostanzialmente, l’ultimo degli Obiettivi del millennio di sedici anni fa − l’obiettivo n.8 di allora − e ricalca tutta una storia di global forum tenutisi durante gli anni Duemila, fino ad arrivare a Busan 2011 e Mexico City 2014. Quest’ultimo obiettivo comprende 19 targets e molti altri indicatori: attualmente, e intendo dal 2015 fino al 2030, il nostro problema – oltre all’abbondanza di goal e di target – è di dare un contenuto a questa global partnership: dobbiamo cercare di capire come mettere in piedi degli strumenti che davvero facciano funzionare le cose. A questo proposito credo che ci sia molto da pensare.
Il nostro problema è di dare un contenuto a questa global partnership: dobbiamo cercare di capire come mettere in piedi degli strumenti che davvero facciano funzionare le cose.
Bisogna creare luoghi di incontro e dialogo. Alcuni già esistono, ad esempio l’ECOSOC alle Nazioni Unite, le aggregazioni regionali (ad es. l’African Union), ma anche aggregazioni subregionali che operano in diverse parti dell’Africa e del mondo in via di sviluppo. I temi di cui discutere per declinare queste global partnership sono impressionanti. Se si osserva bene l’Obiettivo 17 e i suoi target ritroveremo commercio, finanza, aiuti: insomma, tutta una serie di problematiche che richiedono necessariamente questo tipo di interscambio. Tematiche che, a mio parere, necessitano – anche se lavoriamo nell’ambito della riduzione degli squilibri nord-sud del mondo, come pure all’interno di ogni Paese − la nostra attenzione: dobbiamo pensare a costruire questa global partnership riconoscendo che non tutti gli attori, ossia gli stakeholder di questi obiettivi per l’Agenda 2030, hanno la stessa capacità negoziale o la stessa forza.
Occorre riconoscere un principio per cui bisogna riequilibrare le capacità di negoziazione e di dialogo sui singoli Obiettivi e sui singoli target e indicatori, il che vuol dire trovare degli strumenti per dare maggiore voce e forza, maggiore diritto ed espressione – ownership, come si dovrebbe e potrebbe dire – ai paesi e alle realtà del Sud del mondo.
Ritengo che questa sia la prima sfida che dobbiamo affrontare: come far funzionare i dialoghi e le negoziazioni che devono poi mettere in azione quei meccanismi che, si spera, entro il 2030 ci avvicineranno agli obiettivi che ci siamo dati.
Dobbiamo pensare a costruire questa global partnership riconoscendo che non tutti gli stakeholder hanno la stessa capacità negoziale o la stessa forza. Occorre trovare degli strumenti per dare maggiore diritto ed espressione – ownership, come si dovrebbe e potrebbe dire – ai paesi e alle realtà del Sud del mondo.