Solidarietà, uguaglianza, libertà, comunità coese, amore o più propriamente diritto ad amare: concetti troppo spesso abusati in contesti e tempi come quelli attuali, che invece ne richiederebbero una concreta e immediata realizzazione. Questi i temi che hanno alimentato l’intervento di Stefano Rodotà, Professore Emerito all’Università “La Sapienza” di Roma, tenutosi il 12 aprile scorso presso la sala azzurra del complesso universitario di Monte S. Angelo. Il seminario è stato realizzato nell’ambito del laboratorio RED (Responsabilità, Etica e Diritto) coordinato dai docenti del Dipartimento di Economia, Management e Istituzioni dell’Università degli Studi di Napoli Federico II Renato Briganti, Adele Caldarelli, Mauro Sciarelli. Il giurista e accademico italiano è da sempre impegnato nella tutela dei beni comuni e nella difesa della solidarietà al di là dello stato sociale nazionale, vista come principio di riferimento per la ricostruzione del tessuto politico – sociale. Tra le esperienze che hanno caratterizzato la carriera del professore calabrese su questo fronte, va segnalata la presenza come componente della delegazione italiana dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa tra il 1983 e il 1994, e la partecipazione alla stesura della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza).
La Commissione Rodotà: La Commissione ministeriale del 2007 presieduta da Stefano Rodotà, costituita per riformare il Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile, annoverava tra i componenti i professori Ugo Mattei e Alberto Lucarelli. La Commissione presentò al Senato della Repubblica un disegno di legge delega, che però non è mai giunto sul “tavolo parlamentare”. Nel disegno di legge venivano giuridicamente qualificati come “beni comuni” tutti quei beni che non rientrano nell’accezione pubblica in senso oggettivo né a quella privata, dal momento che potevano appartenere a un soggetto pubblico tanto quanto a uno privato. Si tratta, fondamentalmente, di risorse naturali, archeologiche, culturali e ambientali. Dal dettato della proposta di legge si auspicava una normativa tesa a garantire fortemente la loro tutela e soprattutto una fruizione di tipo collettivo senza tuttavia pregiudicarne l’uso per le generazioni successive. Da ciò la tripartizione in: beni ad appartenenza pubblica necessaria, beni pubblici sociali e beni fruttiferi. |
Parlare di solidarietà come principio, spiega Rodotà, significa ammetterne la storicità: il professore ricorda come le sue radici risalgano ai movimenti operai, alle rivoluzioni femministe:
Sebben che siamo donne, paura non abbiamo, per amor dei nostri figli, in lega ci mettiamo.
Insomma, una solidarietà riconducibile a un agire comune per un interesse comune: il riconoscimento della dignità e della libertà su cui ora si fonda la nostra Carta Costituzionale. Il discorso continua, focalizzandosi, come da ultimo suo contributo, sulla solidarietà che guarda al rapporto amoroso, al diritto d’amore da riconoscere universalmente. A tal proposito si evidenzia come, per lungo tempo, nella tradizione italiana il diritto sia stato un mero strumento di disciplina delle relazioni sentimentali che ha sacrificato la soggettività dell’amore, generando diseguaglianza: il codice civile postunitario basava il matrimonio, contratto di diritto pubblico, sulla stabilità sociale, sulla procreazione ed educazione dei figli, ma soprattutto su una condizione impari tra i due coniugi, di subordinazione e obbedienza da parte della donna. Da qui il richiamo ai grandi padri costituenti – Calamandrei, Nitti – che con il principio di uguaglianza (cfr. art. 3 costituzione) hanno rivoluzionato “in maniera inconsapevole” le regole delle parti, creando una fonte primaria sovrastante il codice. Ma i mutamenti sociali, culturali e dunque antropologici che caratterizzano i giorni nostri non trovano riscontro nel diritto, che continua a essere “ingabbiato” in una costruzione dell’unione matrimoniale di tipo storico – cattolico. La pressione esercitata dalla morale religiosa fa sempre da barriera a battaglie su temi etici che si riteneva, e si ritiene tuttora, che il legislatore dovesse e forse debba accettare come esterni, dati, naturali.
La pressione esercitata dalla morale religiosa fa sempre da barriera a battaglie su temi etici che si riteneva, e si ritiene tuttora, che il legislatore dovesse e forse debba accettare come esterni, dati, naturali.
Una qualche svolta si è avuta nel ’68, quando la corte costituzionale (sentenza n. 126 del 1968) ha cancellato il reato di adulterio per le donne, e nel ’75 con la riforma del modello di famiglia, non più gerarchico e patriarcale ma basato sulla fedeltà e la collaborazione (Legge del 19 maggio 1975, n. 151 – “Riforma del diritto di famiglia“). Difatti, nel codice penale del 1930 era prevista la pena di reclusione fino a un anno per l’adulterio della moglie ex art. 559, ma nel 1968 è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 126 dichiarando illegittimi costituzionalmente il primo e il secondo comma dell’articolo, in quanto contrastanti con l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi invece proclamata dall’art. 29 cost. In merito al diritto di famiglia, la sua riforma del 1975 ha apportato notevoli cambiamenti all’istituzione matrimoniale quali: potestà genitoriale non più in capo al solo marito ma condivisa dai coniugi; eguaglianza tra coniugi (il marito non è più capo della famiglia); possibilità di scelta tra un regime patrimoniale della famiglia fondato sulla separazione o comunione dei beni; nuove norme sulla separazione dei coniugi (viene introdotta la possibilità di separazione per intollerabilità alla convivenza). Di contro, nel contesto istituzionale attuale di atti novellatori/riformatori in materia di uguaglianza, solidarietà e pari dignità, l’Italia ne conta pochi e scarni: da un lato l’Italia ha sottoscritto la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che all’ art 21vieta la discriminazione basata sull’orientamento sessuale: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”. Dall’altro lato, lo Stato continua meramente a riconoscere a persone dello stesso sesso la possibilità di vivere una condizione di coppia di fatto e non di diritto.
nel contesto istituzionale attuale di atti novellatori/riformatori in materia di uguaglianza, solidarietà e pari dignità, l’Italia ne conta pochi e scarni.
Il giurista procede, altresì, sulla spinosa questione dei figli cresciuti da famiglie omosessuali e sul loro conseguente diritto di uguaglianza, sottolineando come non sia scientificamente dimostrata la possibilità di disfunzioni nella loro personalità e affettività: trattandosi piuttosto di “figli fortemente voluti”, la condizione di disagio rispetto alla collettività è assolutamente da scongiurare.
Molteplici gli spunti di riflessione offerti alla platea: un’occasione per ragionare intorno all’attuale condizione italiana, che a parere del Professore Emerito verte ancora in uno stato di forte inattività di fronte all’“appello comunitario”, che al contrario vuole vedere realizzate situazioni di pari dignità, uguaglianza, libertà.
Inclusione sociale, piuttosto che esclusione, rispondendo così in modo attivo all’evoluzione del tessuto culturale, in costante sviluppo rispetto al passato.
Foto: “Rodotà” (CC BY-SA 2.0) by N.Caranti