- Quali indicatori ci permetteranno di prevedere il mondo del 2050? - 18 Dicembre 2014
La popolazione mondiale sta crescendo: secondo le analisi e previsioni delle Nazioni Unite ha raggiunto i 3 miliardi di persone negli anni Sessanta, quasi i 7 miliardi nel 2010 e nel 2050 si stima raggiungerà oltre i 9 miliardi, triplicando in poco meno di un secolo. I paesi sviluppati vedono aumentare la popolazione lievemente, mentre i paesi in via di sviluppo da poco meno di 2 miliardi nel 1950 raggiungeranno gli 8 miliardi nel 2050. La popolazione urbana è in drammatica crescita, tanto che si è stimato che nel 2010 circa 3,5 miliardi di persone vivevano in zone urbane: per la prima volta nella storia più del 50 per cento della popolazione mondiale vive in aree urbane. Nel 2050 oltre 6 miliardi di persone, circa il 70 per cento della popolazione, vivranno in aree urbane; nel 1950 questa proporzione era il 30 per cento. Per ciò che concerne le migrazioni, le regioni meno sviluppate dal 1950 al 2010 hanno avuto emigrazioni costanti verso le aree più sviluppate, raggiungendo ben oltre i 15 milioni di persone nel 2010 (UNEP, 2011). Per queste regioni si prevedono flussi in uscita crescenti, anche se a un tasso decrescente rispetto al passato. Le previsioni indicano che nel 2050 il flusso di persone verso le regioni più avanzate sarà di circa 12 milioni (con un decremento del 20 per cento rispetto al 2010). Per contro, le regioni sviluppate hanno registrato fino al 2010 un flusso migratorio positivo con incremento costante e speculare a quello delle regioni meno sviluppate e le previsioni confermano tale andamento. Le migrazioni hanno un impatto sul capitale umano, sul sistema economico e sull’ambiente dei paesi. La crescita economica mondiale, misurata in termini di tasso di crescita del PIL, oggi più che in passato mostra una grande incertezza accentuata dalla crisi del 2008-2009. Tradizionalmente il benessere economico si identifica con il reddito prodotto, cioè con la produzione lorda di beni e servizi dei paesi. I dati del Fondo Monetario Internazionale (IMF, 2013) sul PIL reale mostrano che nel periodo 1980-2010 l’economia mondiale è cresciuta in media del 3,2 per cento annualmente. I paesi sviluppati hanno mostrato una crescita media del 2,6 per cento all’anno, mentre Cina e India sono avanzate rispettivamente del 10 per cento e del 6 per cento nello stesso periodo. Sebbene i paesi in via di sviluppo, nel loro complesso, abbiano rappresentato la parte più ampia della crescita del PIL mondiale, alcune regioni dell’Africa sono rimaste indietro, a causa delle barriere commerciali nei mercati agricoli che ostacolano la loro crescita. Le proiezioni del PIL fino al 2050 indicano un incremento di quasi quattro volte, in linea con gli andamenti passati. Nelle proiezioni la crescita del PIL viene fatta dipendere dalla dinamica della popolazione (struttura per età), dalla partecipazione della forza lavoro (capitale umano, partecipazione e disoccupazione della forza lavoro), dall’urbanizzazione, dall’uso di energia e del suolo. Nel 2050 i paesi sviluppati avranno un peso sull’economia globale che diminuirà dal 54 per cento nel 2010 a meno del 32 per cento, mentre i BRIICS (Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sudafrica) avranno un peso crescente fino a raggiungere il 40 per cento. Il PIL degli Stati Uniti, che sono stati la più grande economia del mondo, nelle proiezioni è stato sorpassato da quello della Cina nel 2012. La crescita del PIL della Cina e dell’India sarà meno veloce, ma sempre in aumento e ben al di sopra della media dei paesi sviluppati. L’Africa vedrà un’alta crescita economica tra il 2030 e il 2050, pur rimanendo il continente più povero. Nel 2050 più della metà del PIL mondiale sarà prodotto nelle regioni definite oggi emergenti e in via di sviluppo, mentre il loro peso nel 2010 era di un terzo, guidato dalla dinamica della popolazione, dall’ulteriore globalizzazione dei mercati e dall’innovazione tecnologica.
Dal quadro delineato emerge un dato importante: la crescita del PIL non è stata omogenea. Non tutti i paesi e i cittadini hanno beneficiato nella stessa misura di questo incremento del benessere economico. Il gap tra i cittadini dei paesi a basso reddito e di quelli ad alto reddito resta ampio, con molte nazioni dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia ben oltre al di sotto della media pro capite mondiale. Inoltre, numerosi territori mostrano al loro interno significative disuguaglianze di reddito tra poveri e ricchi.
La forza lavoro di un paese dipende sostanzialmente dalla dinamica della popolazione, dall’occupazione e dalla disoccupazione. L’invecchiamento della popolazione continuerà nei paesi sviluppati, ma anche in Cina e in altri paesi emergenti. Ciò comporterà un abbassamento del tasso di partecipazione al lavoro. D’altro canto, l’alta proporzione dei profili della popolazione più giovane in molti paesi in via di sviluppo, specialmente in Africa e Asia, comporterà che la quota di popolazione in età lavorativa crescerà, stimolando l’offerta di lavoro.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 2014) il tasso di attività mondiale è passato dal 66,3% nel 1990 al 63,4% nel 2010; le previsioni dicono che arriverà al 62,4% nel 2030. Infatti molti lavoratori sono scoraggiati e non ricercano più attivamente un lavoro. Il decremento di questo tasso è dovuto per un quarto a effetti ciclici, ma per tre quarti a cambiamenti strutturali della popolazione. Il tasso di occupazione della popolazione mondiale, sempre secondo l’ILO, è passato dal 62,2% del 1991 al 59,6% nel 2010; le previsioni fino al 2018 indicano che rimarrà ancora al livello del 2010. Sulla base delle attuali tendenze, il tasso di occupazione nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo ritornerà agli stessi livelli pre-crisi nel 2015, mentre lo stesso tasso nei paesi avanzati si fermerà al 54,9%, ben al di sotto dei livelli pre-crisi. Si stima che nel 2015 la disoccupazione globale arriverà a 208 milioni di persone. Negli ultimi cinque anni dalla crisi del 2007-2008 l’incidenza della disoccupazione di lungo periodo è cresciuta nel 60% delle economie sia sviluppate sia in via di sviluppo (per quelle dove esistono i dati).
Riguardo alla tecnologia, esaminando le applicazioni dei brevetti, si può notare che nel mondo questi si sono concentrati nell’ICT (Information and Communication Technologies), nel settore salute, nelle biotecnologie fino al 2011, mentre negli ultimi anni stanno crescendo i brevetti nelle nanotecnologie e nell’ambiente (OCSE, 2011e 2013). Riguardo all’innovazione, guardando agli investimenti non solo in ricerca e sviluppo, ma anche in attività complementari come software, design, strutture organizzative appropriate (investimenti in knowledge capital), si può riscontrare che essi sono aumentati in alcuni paesi avanzati (Stati Uniti, Danimarca, Finlandia, Francia, Olanda, Gran Bretagna) anche ad un tasso superiore rispetto agli investimenti in capitale fisico. Gli investimenti in capitale della conoscenza influiscono sulla crescita e sulla produttività. Alcuni studi, infatti, dimostrano che essi sono fonte dal 20% al 27% della crescita media della produttività del lavoro (OCSE 2011). Nei paesi OCSE dal 2000 al 2011 c’è stato un incremento dell’occupazione nei settori dei servizi ad alta e media intensità tecnologica, mentre c’è stata una diminuzione dell’occupazione nei settori manifatturieri ad alta e media intensità tecnologica.
Anche se la diffusione delle tecnologie è crescente nel mondo, per quanto concerne l’ICT è probabile che la divisione digitale e tecnologica tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo resti marcata. Gli Stati emergenti stanno sfidando quelli sviluppati nelle stesse aree di vantaggio competitivo. Le dinamiche delle innovazioni globali tuttavia sono sconosciute. Da un lato, le innovazioni costituiscono opportunità per risolvere i problemi di pressione ambientale, ma allo stesso tempo aumentano i rischi e le dipendenze esterne, in particolare dovuti ai sotto-investimenti in acqua, energia e trasporti.
Nel 2040-2050 le nanotecnologie e le biotecnologie diventeranno molto probabilmente pervasive in ogni aspetto della nostra vita. Il potere dei computer verrà accresciuto da tecnologie molto più veloci dei chip al silicio e questo migliorerà le abilità umane anche nel capire e monitorare i cambiamenti ambientali e supportare strategie di problem-solving.
La crescita della produzione di beni e servizi comporta un aumento di domanda dei combustibili fossili e di altre risorse derivate dal petrolio e naturali, anche se sta aumentando l’efficienza energetica. La competizione per le risorse, compreso il suolo, si intensificherà a livello globale. L’estensione del suolo agricolo avrà un’espansione massima prima del 2030 e poi avrà un declino. Un segnale positivo è rappresentato dal tasso di deforestazione che sta già declinando e questo trend continuerà nel futuro, soprattutto dopo il 2030 quando l’estensione del suolo agricolo diminuirà.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA, 2013) stima per i prossimi anni (fino al 2050) un aumento in termini assoluti a tassi crescenti della domanda mondiale di energia (prodotti del petrolio, altri derivati del petrolio e risorse naturali, energia nucleare ed energia da fonti rinnovabili), nonostante i continui miglioramenti di efficienza. Il petrolio rimarrà la fonte energetica principale, al limite fino al 2030; l’utilizzo di petrolio, gas e carbone sarà crescente in volume. La produzione di queste risorse è concentrata in pochi paesi (dieci paesi prevalentemente OPEC hanno l’80% delle riserve petrolifere mondiali), anche se altri paesi (ad esempio Estonia, Francia, Italia e Svezia) stanno aumentando le loro produzioni nazionali per diminuire la dipendenza dall’estero. Dal lato dell’offerta delle risorse, nuove fonti potrebbero essere scoperte; anche gli accordi globali sull’ambiente contribuiranno a modificare la loro disponibilità. L’esaurimento delle risorse e i cambiamenti geografici nella domanda e nell’offerta determineranno l’accesso a esse. L’innovazione tecnologica spingerà la domanda per certi minerali e metalli non usati in precedenza.
Secondo le Nazioni Unite (UNEP, 2012), la tendenza attuale a una popolazione globale sempre più ampia e ricca comporta incrementi di pressione sui sistemi naturali per l’offerta di cibo, acqua ed energia. Questo creerà una conversione dell’uso del suolo, come la deforestazione, la coltivazione e l’urbanizzazione. Di conseguenza si registrerà un cambiamento nella biodiversità. Gli uomini hanno cambiato circa un quarto della produzione primaria potenziale netta della Terra, sia attraverso una coltivazione diretta (53%), sia mediante l’uso diretto del suolo introdotto da cambiamenti nella produttività (40%), sia con incendi provocati dall’uomo (7%). Gli impatti maggiori sugli ecosistemi sono stati prodotti in Nord America, Europa e Sud Est Asiatico. La deforestazione massiccia è avvenuta nella zona tropicale. Attualmente, come detto, il tasso di deforestazione sembra arrestarsi.
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO, 2009) entro il 2050 l’aumento globale della domanda di cibo, mangimi e fibre potrà crescere del 70%. Tale domanda è peraltro diversa in relazione al grado di sviluppo, che comporta un passaggio da una alimentazione a base di cereali a una a base di carne. Tale aumento avrà notevoli impatti sull’uso del suolo e sugli ecosistemi con la conseguente perdita di biodiversità.
Non meno importanti per le implicazioni anche di tipo economico sono gli impatti del cambiamento climatico, derivante dalle emissioni e concentrazioni crescenti. Secondo il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, 2014) e secondo il rapporto OCSE Environmental Outlook (2012), essi comporteranno aumenti di temperatura tali da mettere a rischio il cibo, la disponibilità dell’acqua, la salute umana e la vita marina e terrestre. L’incremento delle emissioni di gas serra dovuti per la maggior parte all’uso dei combustibili fossili, ma anche alla deforestazione, al cambio di uso del suolo e all’agricoltura sono i fattori principali dei cambiamenti climatici. Secondo le Nazioni Unite l’emissione di CO2 nel mondo sono cresciute del 36% tra il 1992 e il 2008 (IEA, 2011). Grandi differenze persistono tra regioni, con l’80% delle emissioni globali di CO2 provenienti da 19 paesi, principalmente con livelli di sviluppo elevati e/o popolazioni ampie. I cambiamenti climatici possono inoltre creare fenomeni climatici estremi, compresa la siccità prolungata, con frequenza e intensità maggiore, aumentando i rischi e le incertezze nella produzione di cibo. Impatti ci saranno anche sulla biodiversità, sugli ecosistemi marini, con la crescente acidificazione e riscaldamento degli oceani.
In generale, tre sono i settori maggiormente inquinanti: la fornitura di energia (elettricità e alimentazione), l’industria manifatturiera e le foreste (deforestazione). Nonostante il protocollo di Montreal (1987) e gli sforzi globali dal 1992, le concentrazioni non sono cambiate di molto: si stima che solo nel 2050 si avranno gli stessi livelli di prima del 1980 (UNEP, 2010). Risulta altresì improbabile il raggiungimento dell’obiettivo di ridurre la temperatura globale di due gradi centigradi per il 2100, stabilito nel 2010 dall’accordo di Cancun.
È doveroso esprimere alcune considerazioni sulle misure presentate. Non si sono affrontate in questa sede le questioni della salute e dell’istruzione, che sono pure aspetti fondamentali per lo sviluppo umano. L’indice di sviluppo umano, messo a punto dalle Nazioni Unite e che viene utilizzato nei rapporti periodici prodotti, è un esempio di come ormai si stia superando la sola nozione di PIL (OCSE 2012).
L’indice di sviluppo umano in 20 anni è aumentato globalmente del 2,5% all’anno, mostrando sostanziali miglioramenti in molti aspetti dello sviluppo umano, ma ancora esistono notevoli differenze nei valori e nella crescita tra le varie regioni del mondo, con l’Africa agli ultimi posti.
L’andamento dell’ HDI (Human Development Index) rispetto al PIL è comunque molto più piatto. Altra questione importante qui non affrontata, ma cruciale, è la governance, che rappresenta una delle questioni nodali dello sviluppo sostenibile e si compone di diversi aspetti imprescindibili, come la trasparenza e l’affidabilità delle istituzioni, la presenza di meccanismi di dialogo inter-istituzionale e la partecipazione della società civile. Nella buona governance rientra anche la misurazione degli obiettivi e dei target.
A tale fine la capacità statistica di mettere a disposizione dati di qualità, tempestivi e disaggregati è fondamentale per il monitoraggio e la valutazione del raggiungimento degli obiettivi, e a questo proposito vedremo in seguito l’esperienza che si sta maturando attualmente in Italia con il Benessere Equo e Sostenibile (BES) (ISTAT 2013, 2014).
L’analisi delle tendenze e degli scenari mondiali mostra come le interrelazioni tra crescita demografica, economica e uso delle risorse (energia, cibo, uso del suolo), o meglio interazione con l’ambiente, siano sempre più complesse. Tuttavia, la salvaguardia dell’ambiente deve essere vista come la precondizione per ogni ragionamento sulla sostenibilità. Le misure per la sostenibilità diventano così la sfida principale (Stiglitz-Sen-Fitoussi, 2009). Uno dei modi tradizionali di valutare la sostenibilità è quello di analizzare la ricchezza globale e la sua distribuzione (Arrow et al., 2011). Secondo le stime della Banca mondiale, nel suo rapporto The Changing Wealth of Nations (Banca mondiale, 2011), la ricchezza totale cresce nel mondo in dieci anni, dal 1995 al 2005, ma con differenti composizioni e dinamiche tra i paesi con livelli di reddito diversi. I paesi più poveri, che rappresentano il 10% della popolazione globale, detengono meno dell’1% della ricchezza totale. Il capitale intangibile (umano, sociale e istituzionale) è comunque la componente più importante e dinamica. Inoltre, in tutti i paesi considerati si realizza una declino del capitale naturale pro capite – combustibili fossili, minerali, risorse forestali, superficie agricola, pesca – dal 1990 al 2008 (UNU-IHDP e UNEP, 2012). La dinamica crescente della popolazione accentua il declino dei tassi di variazione del capitale naturale e spiega più della metà delle variazioni del capitale naturale pro capite in 13 dei 20 paesi considerati.
Ciononostante, tali misure che guardano alla ricchezza e ai capitali presentano limiti e sono insoddisfacenti per avere una visione completa di una realtà complessa. Sono necessari approcci complementari e anche alternativi, che si fondino su basi teoriche diverse dalla teoria dell’equilibrio economico e la teoria del capitale, che mirino a sviluppare indicatori di sostenibilità basati ad esempio su stati e attività umane e modelli per sistemi complessi con agenti eterogenei. L’analisi delle tendenze mondiali dà una visione di alcuni aspetti rilevanti per lo sviluppo sosteni- bile dell’umanità e dei fattori che nel lungo periodo minacciano la resilienza dei sistemi e degli individui. Su questi aspetti dobbiamo senza indugio sviluppare misure e indicatori nuovi.
Con il progetto BES, l’Istat ha cercato di rispondere alle sollecitazioni provenienti dai dibattiti teorici e negoziali in corso e proprio in questo momento sta concentrando in maniera puntuale gli sforzi per l’analisi della sostenibilità. Il progetto BES è finalizzato a sviluppare un approccio multidimensionale al benessere, in grado di integrare l’equità nella distribuzione delle risorse e nelle pari opportunità delle scelte di vita con la sostenibilità nel tempo e nello spazio del benessere. Sono stati così identificati 12 domini del benessere che maggiormente contribuiscono a caratterizzare il progresso della società italiana. I domini sono rappresentati da 134 indicatori e si stanno identificando quelli che rappresentano la sostenibilità. L’obiettivo è quello di mettere a punto un modello che studi le interrelazioni tra domini del BES e tenga conto dei tre ambiti economico, ambientale e sociale. Le interrelazioni sono difficili da determinare, ma sono il punto centrale della sostenibilità. Ovvero, la sfida è una lettura dinamica dei domini del BES nel loro interagire all’interno di un determinato spazio, in relazione anche con altri territori, nel corso del tempo.
In questo modello si vuole monitorare nel tempo e nello spazio il benessere (rappresentato dai livelli di outcome del BES) e contribuire a valutare se il benessere può migliorare o rimanere allo stesso livello senza compromettere i bisogni delle future generazioni, ovvero indefinitamente (Riccardini, 2013). Ciò verrà attuato con l’identificazione di una serie di indicatori che mettano in evidenza:
- la vulnerabilità, concentrandosi sui fattori di rischio che minano la possibilità di mantenere o raggiungere l’equilibrio – o il livello ottimale di benessere – (mantenere ed eventualmente migliorare i livelli di outcome di benessere raggiunto);
- la resilienza, come capacità di resistere a shock negativi e possibilità di facilitare l’equilibrio (e quindi di mantenere o aumentare i livelli di benessere raggiunti.
A complemento del set di indicatori relativi a vulnerabilità e resilienza, vengono sviluppati, attraverso adeguati modelli econometrici, anche dei modelli forward looking, che accanto ai tradizionali aspetti economici cercheranno di combinare gli aspetti ambientali e sociali. L’Istat sta già lavorando su alcuni modelli previsionali, prevedendo infatti che il modello MeMoit venga allargato anche alle relazioni relative all’energia e all’inquinamento.
È questa una sfida che presenta non poche insidie, ma c’è la consapevolezza che occorre implementare un sistema di misurazione (Riccardini, 2014) che serva a governare nel miglior modo possibile la realtà di oggi, sempre più complessa, incerta, globale e interconnessa, e contribuire, anche per questa via, a un’evoluzione dinamica e armonica dei sistemi naturali che non comprometta la sopravvivenza dei nostri sistemi sociali. La misurazione dei fenomeni è quindi un passo importante per sviluppare tale sistema e il contributo che essa può fornire per la valutazione della sostenibilità del benessere è centrale. Si tratta ora di passare dalla produzione degli indicatori al reale utilizzo politico delle misure di benessere e tale passaggio non sarà privo di difficoltà, ma la strada è tracciata.
Approfondimenti
- Arrow K.J., Dasgupta P., Goulder L.H. e Mumford K.J., Sustainability and the Measurement of Wealth, giugno 2011.
- Banca mondiale, “The Changing Wealth of Nations: Measuring Sustainable Development” in the New Millennium, World Bank, Washington DC, 2011.
- FAO, The State of Food Insecurity in the World: Economic Crisis-Impacts and Lessons Learnt, United Nations Food and Agriculture Organization, Roma, 2009.
- IEA, World Energy Outlook 2013, OCSE Publishing, Parigi, 2013.
- ILO, Global Employment Trends 2014, ILO Publications, Ginevra, 2014.
- IMF, World Economic Outlook Database, International Monetary Fund, Washington DC, 2013.
- IPCC, Climate Change 2014: Impacts, Adaptation and Vulnerability, Cambridge University Press, New York, 2014.
- ISTAT, Il Benessere equo e sostenibile in Italia, Istat-Cnel, Roma, 2013-2014.
- OCSE, Towards Green Growth: Monitoring Progress, OCSE Publishing, Parigi, 2011.
- OCSE, Better Life Index, OCSE Publishing, Parigi, 2012.
- OCSE, Science, Technology and Industry: Scoreboard, Innovation for Growth, OCSE Publishing, Parigi, 2013.
- Riccardini F., Towards measuring the sustainability of well-being, paper presentato per la Conferenza “Integration of EquityVulnerability and Sustainability: The Main Challenges of Well-Being”, Brescia, 21 giugno 2013.
- Riccardini F., Sustainability of well-being: the case of BES for Italy, paper presentato alla XII Conferenza “Quality of Life ISQOLS, Sustaining Quality of Life Across the Globe”, Free University Berlin, 15-18 settembre 2014.
- Stiglitz J.E., Sen A. e Fitoussi J.P., Report by the Commission on the Measuring of Economic Performance and Social Progress, 2009, www.stiglitz-sen-fitoussi.com.
- UNDP, Human Development Report 2013. The Rise of the South: Human Progress in a Diverse World, United Nations Development Programme, New York.
- UNEP, Keeping Track of our Changing Environment, from Rio to Rio+20 (1992-2012), Division of Early Warning and Assessment (DEWA), United Nations Environment Programme, Nairobi, 2011.
- UNU-IHDP e UNEP, Inclusive Wealth Report 2012. / Measuring Progress toward Sustainability, Cambridge University Press, Cambridge, 2012.
Foto: “Development Committee Meeting” (CC BY-NC-ND 2.0) by World Bank Photo Collection.