- L’infrastruttura energetica dell’Italia di domani - 4 Gennaio 2014
Intervento del Professore Domenico Villacci tenutosi in occasione del convegno “Italia 2050”, organizzato dall’Italian Institute for the Future presso la Città della Scienza di Napoli, 16 novembre 2013, nell’ambito della Tavola Rotonda “Per un mondo più sostenibile”.
L’energia è tra i temi centrali, insieme alla questione alimentare, per quel che riguarda la sopravvivenza e lo sviluppo umano. La questione dell’energia la viviamo tutti i giorni: è sufficiente accendere un qualsiasi apparecchio elettronico per renderci conto della centralità del tema, in particolare nell’area Mediterranea e del Medio Oriente; tutto ciò che accade è in gran parte legato all’accaparramento delle fonti primarie. Il tema dell’energia andrebbe affrontato da una prospettiva prima europea, per poi giungere al livello nazionale, dove viene affrontato con grande affanno: cerchiamo, a livello nazionale, di accogliere le direttive europee, tentando di allinearci e di porre i dovuti accorgimenti. Ma l’approccio europeo è necessario anche per quanto concerne lo sviluppo industriale comunitario.
Il primo punto sostanziale è la riduzione della sicurezza degli approvvigionamenti. Oggi l’UE importa circa il 50% del suo consumo annuale e se non si fa nulla arriveremo al 70% delle importazioni per l’UE entro il 2030. Ovviamente questo scenario non può essere sostenibile, specialmente se si considera che a livello italiano dipendiamo dalle importazioni per l’84-90%. Ciò comporterebbe un indebolimento economico enorme dell’UE, senza parlare del problema del riscaldamento globale, fenomeno in allarmante, crescente frequenza, al quale ci stiamo interfacciando nel quotidiano. Su questa scia, va detto che l’UE contribuirà, con la sua politica energetica, alla riduzione del riscaldamento globale, attraverso la decarbonizzazione dell’ambiente, in base alle scelte produttive in tema di energia e delle trasformazioni relative. Da questo punto di vista ha lanciato diverse iniziative, tra cui la cosiddetta strategia 20-20-20, all’interno del pacchetto “strategia Europa 2020”.
Il provvedimento è importante per una serie di ragioni. Innanzitutto, l’adesione dei Paesi al progetto non è più su base volontaria, ma subentra l’obbligo di partecipazione, unitamente agli oneri connessi. Questo significa mettere in atto tutti quegli investimenti e provvedimenti fondamentali al raggiungimento della quota compartecipativa delle nazioni allo specifico obiettivo. Perché è diventato obbligatorio? In precedenza ci sono state politiche che hanno agito su base volontaria, per cui il problema del clima, del riscaldamento globale e delle fonti rinnovabili e delle energie pulite, da sempre tema che rientra nelle azioni dell’UE, ha visto una presa di posizione forte dell’UE, spinta dai Paesi europei che maggiormente incidono, in testa la Germania, perché l’attuazione di un programma simile comportava lo sviluppo di tecnologia industriale fondamentale per questi obiettivi. Produrre decarbonizzazione significa, tra le altre cose, realizzare che impianti che sfruttano le fonti rinnovabili, fotovoltaico ed eolico in primis, che hanno inciso molto su questa indicazione programmatica in ragione del fatto che i Paesi europei più evoluti, in testa Germania e Danimarca, sono anche detentori di tecnologie in tal senso, a differenza del nostro Paese, che arranca sempre in questi ambiti. Ciò ha comportato un aumento dell’industria e della tecnologia in questi Paesi, con la creazione di migliaia di posti di lavoro: il potere delle tecnologie ha abilitato tali realtà a governare il mercato.
Su questo devo dissentire con il presidente di Legambiente, Cogliati Dezza: queste tecnologie hanno un costo pazzesco per la realizzazione degli impianti. L’installazione di un pannello di fotovoltaico incide non sul 10-15% del costo complessivo, ma sul 60-70% del costo complessivo della realizzazione dell’impianto stesso. Ciò ha messo in crisi l’Italia, ponendola nella necessità di correre ai ripari, riducendo fortemente gli incentivi che stavano portando alla destabilizzazione della bilancia economica. Va enfatizzato il fatto che queste iniziative sono necessarie per far fronte al programma, ma anche per far fronte agli obiettivi di dipendenza energetica degli altri Paesi. Ribadendo la necessità di un consenso verso le fonti rinnovabili, va però detto che soltanto per il fotovoltaico l’Italia ha investito 6,5 mld all’anno oltre agli incentivi (che ricadono sull’aliquota a3 della nostra bolletta di energia elettrica), generando come effetto cumulato per il solo 2012, e solo per il fotovoltaico, costi per oltre 130 mld di € per tutti i cittadini, impegnandoli a versarli entro il 2020. Questo perché si tratta di una tecnologia non competitiva di cui andava stimolato lo sviluppo.
Il problema a livello italiano è che, a differenza dell’UE, questa filosofia e cultura delle fonti rinnovabili è cresciuta poco a poco, sviluppandosi dal punto di vista della ricerca così come da quello della coscienza, considerando il ritardo dell’Italia anche nel settore. Perorare la causa del programma 20-20-20 ha significato, dato l’obbligo oltre che l’urgenza di dover far fronte agli impegni, forzare lo sviluppo di questa tecnologia, al punto da dare incentivi anche 3-4 volte superiori alla media europea, installando negli ultimi anni più impianti di fotovoltaico in Italia che in Cina e negli Stati Uniti. Questa forte spinta l’abbiamo pagata non solo dal punto di vista economico, ma ne ha pagato in termini di impatto anche il sistema infrastrutturale adito alla trasmissione e alla raccolta di questa energia, procedendo in maniera inversa rispetto all’Europa. In UE, infatti, la cultura delle fonti rinnovabili ha portato all’implementazione di impianti a potenza crescente, mentre in Italia siamo partiti con impianti da diverse decine di megawatt, installati a terra, con l’occupazione di suolo agricolo, soprattutto in Puglia. È ovvio che si dovrà continuare a investire nelle rinnovabili in Italia, seguendo l’indirizzo europeo, ma non dobbiamo trascurare le criticità emerse come sistema nazionale, portatrici di ulteriori danni: tutte queste fonti rinnovabili, immesse su reti non predisposte ad un libero mercato e ad una diffusione pervasiva degli impianti, hanno generato gravi difficoltà.
Naturalmente i gestori delle reti di trasmissione e delle reti di distribuzione sono all’opera per porre interventi volti a eliminare tali colli di bottiglia, come imposto dall’autorità per l’energia: il gestore della rete di trasmissione è chiamato a dare allacciamento a qualsiasi soggetto che voglia liberamente proporsi per l’impianto, il libero accesso alla rete di trasmissione. Il problema è che, mentre l’impianto viene realizzato in due anni, l’adeguamento della rete dell’infrastruttura richiede dieci anni. In molti casi questi impianti restano per molti anni nell’incapacità di immettere l’energia che sarebbero in grado di produrre e immettere nella rete. Il problema, che è per il produttore, viene riconosciuto come danno dall’autorità, per cui si crea il seguente circolo vizioso: finanziamento impianti per gli incentivi – l’impianto non può produrre in rete – vengono riconosciuti i danni della mancata produzione -l’energia non prodotta da quegli impianti viene prodotta da impianti tradizionali. Questo sistema assurdo è dovuto al fatto che il gestore non riesce ad adeguare la rete in tempi utili, fatto che porta ulteriori danni.
La soluzione europea, questa volta sposata in primis dall’Italia, è la grande interconnessione tra infrastruttura tecnologica e mercato unico europeo. I due concetti sono strettamente legati e dipendenti. La struttura tecnologica deve consentire gli scambi. Oggi i sistemi di connessione dei singoli paesi non sono capaci di recepire le fonti locali, né tantomeno quelle sovranazionali provenienti da interscambi internazionali del mercato unico europeo. AVG Energia, insieme alla ricerca, hanno finanziato il più rivoluzionario programma che porterà dei risultati vincolanti per i singoli Paesi, con l’Italia che sostiene da leader e attuatore il progetto con un consorzio di 18 università e due politecnici. Attraverso una pianificazione quinquennale si giungerà alla realizzazione di questo grande sistema interconnesso, la supergreed europea ed extraeuropea. Il principio di base è di decarbonizzare e incrementare la qualità della vita attraverso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, ma in Europa non possiamo spingere più di tanto sullo sfruttamento di queste risorse, per non andare incontro ad altri problemi (inquinamento, deturpamento del paesaggio ecc.). Quindi, per rendere competitivo lo sfruttamento delle rinnovabili, una soluzione potrebbe essere quella di trasformarle dove ci sono gli impianti adatti per una maggiore efficienza e per raggiungere economie di scala. Questi grandi bacini sono stati individuati in aree del nord per l’eolico e in aree del Mediterraneo europeo e africano per il solare. Creare assi d’interscambio nord-sud ed est-ovest attraverso questa grande infrastruttura diventa elemento essenziale per poter avanzare un progetto e una politica europea basate sulle energie rinnovabili. Parte di queste sono già in procinto di essere attuate, con l’Italia che può giocare un ruolo importantissimo: rappresentare un vero Hub energetico tra bacino del Nord-Europa e quello del Nord Africa. Questa è la sfida che l’Italia deve giocare per diventare funzionale a un grande mercato unico dell’energia in Europa. Questo è il futuro!
Foto: DESERTEC EU-MENA Map: Sketch of possible infrastructure for a sustainable supply of power to Europe, the Middle East and North Africa (EU-MENA) proposed by TREC) (CC BY-SA 4.0) by DESERTEC Foundation